Il peso reale delle parole

Definire significa limitare, delimitare, fissare dei confini. 
E' in questo modo che il nostro cervello, identificando e limitando, dà un valore ad un evento, un oggetto, una persona. Di qui l'importanza di come definiamo ciò che ci accade, le parole che usiamo per descrivere chi e cosa viviamo.
La parola che decidiamo di utilizzare, definisce la percezione dell'evento e l'analogia con una sensazione ed in questo modo il nostro sistema la recepisce e la qualifica.
Se ad esempio, ci capitasse qualcosa di non propriamente desiderabile, abbiamo la possibilità di definirlo disagio, oppure contrattempo, o problema, o meglio ancora una sfida. Sono tutte sfumature, punti di vista, definizioni che agganciano analogicamente l'accaduto e di conseguenza la percezione, ma in modi totalmente diversi. 
In poche parole, tutto dipende da come ti poni nei confronti di ciò che ti capita e dal nome che assegni ad un evento.
Quante volte ci troviamo di fronte a persone che ci raccontano con gravità di disagi che noi avremmo affrontato con più leggerezza? Quante volte, al contrario, ci capita di vedere persone affrontare problemi davvero gravi con una semplicità che noi non saremmo mai stati in grado di avere? E' tutta una questione di approccio e quindi di definizione, di nome, di valore, di abitudine a vedere e definire qualcosa in un modo piuttosto che in un altro.
Perché insisto su questo argomento? Perché le parole ci condizionano e di conseguenza ci definiscono: se siamo abituati a vedere i problemi come sfide, non ci lasceremo tanto facilmente buttare giù dagli inconvenienti e gli imprevisti che inevitabilmente ci capiteranno e saremo sicuramente più pronti ad affrontare quelli davvero gravi. Al contrario, se li vedremo sempre e solo come problemi o peggio sciagure, sicuramente tutto diventerà più complicato. Il nostro carattere si forgerà su questo modo di pensare, pesando molto sul nostro benessere e il sistema si adattera a riconoscerli come più pesanti e più difficili da affrontare e ci vorrà molta più energia, molto più impegno, per superare lo stesso e identico evento, perché visto in maniera più pesante.
Lo stesso discorso vale, ovviamente, per come parliamo con gli altri, per il modo in cui ci rivolgiamo e i termini che utilizziamo. Le parole sono finestre oppure muri, recita il titolo del libro di Marshall Rosenberg, ed è proprio così. Pesarle, pensarle, valutarle, ci aiuta ad evitare guai, a vivere e a far vivere meglio.
La metafora del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, sottolinea che tutto dipende da come noi reagiamo a ciò che vediamo, da come noi identifichiamo le cose, all'abitudine che abbiamo nel dare una definizione a ciò che ci capita. L'unica realtà inequivocabile infatti è che il bicchiere contenga acqua. A noi resta decidere la descrizione che distingue la realtà di primo ordine da quella di second'ordine.
La prima difatti è inequivocabile ma la seconda può caratterizzarla e riqualificarla. Lo afferma anche il 2° assioma della comunicazione in cui Paul Watzlavick sottolinea 2 aspetti: quello di contenuto e quello di relazione, dove quest'ultimo è quello che conferma o ridefinisce il primo (metacomunicazione). 
Imparare a definire positivamente quello che viviamo e vediamo è un esercizio vitale, magari non sempre semplice.
Posso però assicurarvi che, divenuto abitudine, non solo è semplice, ma assolutamente e impagabilmente benefico, salutare e, dal punto di vista relazionale, assolutamente esplosivo. 

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